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Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Pietro Spirito

Perchè NO Alfabeto dell’autonomia differenziata: Pietro Spirito, economista dei trasporti, Autonomia differenziata e Porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione (in onda dall’8 marzo 2024)

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Anna Maria Bianchi Buonasera questa sera siamo solo due, io e Pietro Spirito, che normalmente conduce le interviste ai nostri ospiti ma questa sera parliamo di una sua materia, perché essendo economista dei trasporti vogliamo parlare di due materie  che sono tra quelle oggi concorrenti Stato/ Regioni e che possono diventare di esclusiva potestà legislativa e anche gestionale delle Regioni che ne faranno richiesta con il Disegno di legge Calderoli per l’autonomia regionale differenziata:  porti e aeroporti civili e grandi reti di trasporto e navigazione. Materie che sembra incredibile che si possa pensare di spezzettarle tra  le Regioni, dato che riguardano collegamenti  di ambiti vastissimi non solo nazionali.

Pietro Spirito  Per comprendere l’evoluzione istituzionale ed economica delle infrastrutture di trasporto nei decenni recenti bisogna partire da quello che è successo in Europa. A metà degli anni Ottanta del secolo passato il Presidente della Commissione europea, Jacques Delors. avviò un  grande programma di investimenti su scala comunitaria. Trans European Network (Ten T) si basava sulla idea che l’Europa si sarebbe unita anche attraverso le infrastrutture che mettevano in migliore connessione i territori.

Per decenni questa iniziativa  ha caratterizzato l’azione della Commissione Europea e dei governi nazionali. Era un segno di tempi che stavano cambiando. Lo sviluppo delle reti si affronta sempre più  a livello di grandi sistemi economici. Pensiamo alla Cina in questi anni più recenti. Il colosso asiatico è diventato una potenza economica globale anche perché ha inserito nel suo quadro strategico la realizzazione di grandi reti infrastrutturali dentro un programma globale di investimenti nelle reti, la cosiddetta “Via della Seta” (Belt and Road Initiative).

Si tratta di un disegno di carattere egemonico internazionale con l’obiettivo di costruire infrastrutture in tutti i paesi del mondo, principalmente in Africa, in Asia e in Europa, per garantire migliori collegamenti commerciali  tra la Cina e il resto del mondo, con l’obiettivo di  diventare una grande potenza esportatrice, oltre che produttrice com’era  stato nella prima fase della ripartenza economica cinese.

Gli ultimi decenni della storia economica e mondiale dimostrano ancora di più che le infrastrutture sono opere sovranazionali o frutto di iniziative straordinarie  di grandi potenze. In origine le infrastrutture  erano invece opere nazionali, spina dorsale della unità politica. Quando l’Italia è diventata una nazione, alle spalle c’erano grandi iniziative messe in campo dalla classe dirigente e da ingegneri ferroviari impegnati a costruire la rete ferroviaria italiana unificando le reti ferroviarie dei  vari Stati che avevano cominciato a costruire lr proprie infrastrutture.

Ora si sta tentando di realizzare un’Europa più coesa, ancora non unita, anche mediante le reti di connessione. Noi che ci riteniamo sempre più furbi degli altri, stiamo decidendo invece di regionalizzare le infrastrutture: una risata omerica ci seppellirà. Nessuna grande infrastruttura può essere decisa da una Regione, perché riguarda territori plurimi,  riguarda corridoi di traffico che investono altre responsabilità. Ci vuole un livello di coordinamento che non si può contenere all’interno della singola Regione. Viviamo in un mondo che affronta le infrastrutture in termini globali, mentre l’Italia intende concepirle e gestirle in termini locali. È un’operazione quindi destinata ad essere di sicuro insuccesso.

La scala delle scelte è inevitabilmente superiore rispetto ad un territorio regionale. Prendiamo un caso che è accaduto nei passati decenni sugli aeroporti, con il superamento dell’unico aeroporto internazionale in Italia. l’aeroporto di Fiumicino.

La politica decise che l’Italia aveva bisogno di un secondo aeroporto internazionale. E fu scelto Malpensa, con grandi difficoltà, con grandi problemi e con grandi incertezze, nonostante che questa scelta pure fu gestita secondo una logica nazionale. La compagnia aerea, che allora era una compagnia di stato  non riuscì a gestire il cambiamento dal punto di vista dell’efficienza. E da quel momento è cominciata la crisi irreversibile dell’Alitalia che ha condotto al disastro che è sotto gli occhi di tutti, con la liquidazione della vecchia compagnia di bandiera e ora con l’ingresso ormai quasi probabile di Lufthansa. Queste vicende dimostrano che non è possibile affrontare il tema delle infrastrutture senza avere una visione sovraregionale, ed ormai anche più spesso sovranazionale.

Nel 1996 venne in Italia in visita per la prima volta una delegazione di altissimo livello della Repubblica Popolare Cinese. C’era il primo ministro dell’epoca e c’era il ministro dei trasporti, che si recò Genova per presenziare ad un convegno sui porti. Era stupito dal fatto che tre presidenti di tre porti liguri si erano recati in Cina per candidarsi, in concorrenza gli uni con gli altri, quale porto europeo della Cina

Dopo quasi trenta anni le scelte sono diventate ancora più complesse. Il mondo si è  ancora più internazionalizzato. E noi pensiamo di progettare e gestire  le infrastrutture di livello regionale.

Faccio due esempi che riguardano gli interporti, piattaforme di scambio che consentono alla ferrovia, all’autostrada ed al mare di integrarsi attraverso i camion o la ferrovia di poter fare lo scambio modale tra le diverse modalità di trasporto e arrivare alle destinazioni finali riordinando le merci. In Italia finora esistono ventisei interporti. Già questa è un’anomalia. Quando fu fatta la legge nazionale sugli interporti, all’inizio degli anni novanta, si decise che in Italia ci dovevano essere nove interporti nazionali.

Nel corso del tempo con la regionalizzazione gli interporti nazionali sono diventati ventisei. Funzionano? No! Perché ovviamente hanno cominciato a farsi competizione l’uno con l’altro. Prendo il caso della Campania. A distanza di pochi chilometri l’uno dall’altro ci sono due interporti: l’interporto di Nola e l’interporto di Marcianise. È mai possibile che due grandi infrastrutture possano esistere a così breve distanza? Ovviamente no. Il che vuol dire che nessuna delle due funziona perché si fanno la concorrenza l’una con l’altra. E il risultato è una inefficienza di sistema.

Quindi il primo tema che noi dobbiamo comprendere è che spostando verso il basso la responsabilità delle decisioni sulle infrastrutture inevitabilmente l’attenzione si sposterà più sul cemento  che non sulla efficienza. Spostando verso il basso la responsabilità delle decisioni sulle infrastrutture inevitabilmente l’attenzione si sposterà sulla lobby dei costruttori interessati a fare i propri affari.

Il secondo punto riguarda la cancellazione dello strumento della pianificazione nei trasporti. Si tratta di un atto sorprendente che è passato sostanzialmente sotto silenzio. Con la nuova versione del Codice degli appalti la programmazione dei trasporti non esiste più.  Entriamo nella sfera dell’l’arbitrio del principe. È ovvio che una cosa del genere non ha né capo né coda. E lo vediamo con le tante opere annunciate ed incompiute nel nostro Paese. Perché solo ciò che si programma è ciò che si realizza.

L’Italia registra già oggi una difficile competitività nei trasporti e nella logistica. Se prendiamo la classifica della Banca Mondiale che ogni due anni pubblica l’indice di efficienza logistica di un Paese noi siamo già oggi al diciassettesimo posto, quindi non particolarmente brillanti. Con la riforma Calderoli  perderemo almeno una decina di posizioni in quella graduatoria. Ma il problema è anche manutenere ciò che c’è. Questo paese sta drammaticamente peggiorando anche nella qualità manutentiva delle infrastrutture esistenti.

Lasciamo perdere la tragedia enorme del ponte di Morandi, oppure il guardrail mancante di Mestre. Senza la pianificazione dei trasporti si perde la bussola. Si può mai andare in un bosco al buio senza la bussola, con gli strumenti che servono? A mio avviso è indispensabile averli. E la pianificazione è questo oggetto, che consente di orientarci per capire ciò che serve ed in quali tempi.

Le infrastrutture hanno molte similitudini con la strategia militare. L’ha insegnato Napoleone tra gli altri. Si vince la battaglia se stai dall’alto, se tu vedi il territorio nel suo insieme. Se invece stai dal basso e non vedi il territorio, perdi la visione d’insieme. Stiamo decidendo di andare verso un futuro incerto a tentoni senza nessuna capacità di comprendere sostanzialmente il disegno complessivo.

Ognuna delle ventitré materie assegnate dalla riforma Calderoli alla esclusiva titolarità delle Regioni presenta le sue criticità. E’ difficile spiegare all’opinione pubblica tutte le sequenze e le implicazioni. Il combinato disposto di tutte queste disarticolazioni non solo determinerebbe un aumento delle diseguaglianze tra i territori ma anche un indebolimento della nazione nel suo insieme. Lo smarrimento della bussola nei processi decisionali e nei modelli gestionali delle infrastrutture è certamente emblematico in questa direzione.

Anna Maria Bianchi Io ringrazio tantissimo Pietro come al solito efficace sintetico e molto comprensibile. Anche se il quadro che ne viene estratto è piuttosto deprimente.

Per osservazioni e precisazioni: laboratoriocarteinregola@gmail.com

12 marzo 2024